La pesca al tocco della trota nelle rogge


Testo e foto di Roberto Groppetti

Ho pianificato l’uscita ieri sera e visto che lunedì riprenderò a lavorare decido di chiudere le ferie nel miglior modo possibile con una bella battuta di pesca alla trota in roggia. Partirò presto approfittando della frescura e della tranquillità che le prime ore del mattino regalano. La sveglia l’affido a mio figlio di sei settimane che sicuramente non mancherà la poppata delle 6. La colazione del piccolo Mattia si rivela meno mattutina del previsto, alle 6 e 45, mi alzo dal letto, saluto il pargolo, mia moglie, preparo il solito latte ed orzo con biscotti. In aggiunta finale, visto il periodo estivo, una bella inalata di spray nasale contro l’allergia all’Ambrosia (mannaggia all’America). Arrivo sul posto alle 7 e 10, non dista molto da casa, lo conosco da sempre e mi ha regalato parecchie catture. Si tratta di una roggia che si immette in un importante naviglio. Ma cos’è la roggia? Molti si domanderanno! Si tratta di un fontanile di pianura, caratterizzato da acque limpide e sorgive con corrente variabile, piante ed erbe acquatiche che offrono riparo e rifugio a molte specie di pesci, fra le quali la trota ed il vairone, più il solito “cipridame” che proprio stona in queste acque.

Dopo aver parcheggiato la Panda, indosso il gilet e gli stivali chiedendomi perché esiste un modello che finisce proprio sopra il ginocchio e non è, come dovrebbe, a tutta coscia. Penso che non siano per pescatori ma per gli agricoltori che lavorano nelle risaie. Preparo la mia teleregolabile Mitchell di 5 metri attrezzata con mulinello Shimano e multifilo Fireline dello 0,17. La montatura è semplicissima: amo Mustad ref.287A del 5 legato direttamente alla lenza madre ed un segnalatore da torrente arancione. Non uso la girella e moschettone perché la memoria di questo filo è praticamente nulla e nell’ultima battuta di pesca ho perso una trota proprio perché si è rotto il moschettone. Non serve neanche la piombatura perché appesantirebbe troppo l’esca e non le farebbe fare neanche un metro di passata. Come esca scelgo la camola del miele artificiale della Berkley che, a differenza di altre esche sintetiche, vengono aggredite dalle trote come fossero naturali (sperimentate con successo su trote selvatiche).

L’azione di pesca al tocco nelle rogge è impostata su due tempi, entrambi validi per le mangiate della trota: la passata (o discesa) ed il recupero, vediamoli nei dettagli:
– Il primo consiste nel far scendere l’esca nelle correntine evitando di farla incagliare nelle erbe acquatiche e guidandola ai bordi dei nascondigli che esse creano. Ci si aiuta a frenare la discesa tenendo la lenza con la mano sinistra, con l’archetto aperto e di tanto in tanto con qualche piccolo strappo verso monte. Se si dovesse avvertire il tocco della trota si deve assecondare la fuga verso valle, accompagnando la lenza con la mano stessa, e successivamente ferrare. Diversamente non è detto che l’azione di pesca sia conclusa perché si passa alla fase successiva.
– Il secondo tempo consiste nel recuperare l’esca sfiorando le probabili tane delle trote, non in modo meccanico lavorando solo con il mulinello ma in armonia con la canna, spostando lentamente verso monte il cimino e portandolo poi nella posizione di partenza si recupera con il mulinello. Se si percepisce la mangiata occorre accompagnare la fuga a valle con la canna (a volte aprendo l’archetto) e quindi ferrare. L’attacco può avvenire in qualsiasi momento e di solito è più aggressivo che nell’azione in discesa.

Torniamo alla mia battuta di pesca. Regolo la canna sui tre metri e mezzo, innesco l’esca e inizio una passata sotto il ponte, nei pressi del parcheggio della macchina. L’acqua è limpida e le erbe acquatiche terminano appena prima del ponte perché la luce scarsa non permette loro di svilupparsi, dopo aver mollato un paio di metri di filo sento subito le classiche toccate della trota e, dopo essere sicuro che abbia mangiato bene, ferro deciso. Segue una discreta fuga. Salpo la prima trota mattutina, si tratta di una Iridea di circa 25 cm, dopo averla annoccata e slamata la ritiro nel cestino di vimini. Insisto ancora per una ventina di minuti ma la postazione è ormai disturbata e decido di spostarmi più a valle.Costeggio il sentiero aperto dai colleghi pescatori sul bordo del campo di mais che confina con la roggia. A distanze regolari si aprono i passaggi che portano all’acqua, ricavati tra canne palustri e rovi di more selvatiche. Decido di esplorare la correntina a valle di una curva, questa promette bene visto che sopra il pelo dell’acqua sporgono delle cannette che formano un sorta di galleria.

Mi avvicino all’acqua e noto che è più bassa del solito di circa 15 cm, appoggio i piedi su delle canne palustri piegate a terra ma appena mi sposto di un po’ in avanti affondo fino al ginocchio nella fanghiglia sabbiosa. Grazie alla famosa manovra in “retromarcia” riesco ad uscire egregiamente da queste “sabbie mobili dei poveri” fermandomi dove ero partito. A questo punto allungo la canna alla massima estensione e inizio la passata proprio nella tana individuata prima. La discesa non segnala nessuna abboccata e faccio proseguire l’esca in una buca fra le erbe ma nulla, controllo la passata fissando il segnalatore per un metro e decido di recuperare. Questa volta la trota attacca con una energica bollata, attendo un attimo e ferro. La seconda Iridea viene salpata dopo una dignitosa difesa.Provo altre passate e recuperi ma non avverto nulla fino a quando vedo qualche cosa nuotare elegantemente contro corrente, si tratta di un castorino, meglio conosciuto come Nutria. Arriva sotto il cimino della canna e d’istinto gli do’ un colpetto sulla testa. La bestiola non gradisce e immergendosi fragorosamente disturba la zona compromettendomi la pesca. Mi sposto più a monte per continuare l’azione e in un’oretta riesco a prendere altre tre discrete trote a conferma della validità di questa roggia. Il sole è già alto e quando asciugherà per bene l’aria le numerose piante di Ambrosia, che hanno ormai infestato la valle del Ticino e dintorni, faranno il loro maledetto dovere di impollinazione. E’ ora di tornare a casa. M’incammino verso la macchina e attraversando il ponte una coppia di Germani Reali si alza dall’acqua come per salutarmi. Il bisogno che ogni bravo pescatore ha di tornare al fiume è stato, anche stavolta, soddisfatto.

©2004 Roberto Groppetti